L’hub degli invisibili che salva le vite

A volte basta un pugno di uomini e donne di buona volontà, insieme ad una ferma convinzione: che nella tempesta della pandemia, presente ormai da quasi due anni, nessuno può essere lasciato indietro.

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Perché di volontari ne sono bastati cinquanta, due volte a settimana, in appena quattro mesi, a dare un nome e un cognome a quasi 7mila “invisibili”, che per la sanità italiana non esistevano e quindi neanche per la campagna vaccinale: senza fissa dimora, rom, immigrati, anziani soli, persino religiosi presenti qui a Roma, che per tanti motivi, per lo più burocratici, rischiavano di restare fuori dalla protezione sanitaria promessa ad ogni cittadino. A loro danno, ma anche a quello di tutta la popolazione.
Sono le cifre dell’Hub vaccinale di Sant’Egidio che, nel cuore di Trastevere, dal 6 luglio a oggi, tra prime e seconde dosi, è riuscito a somministrare ben 10mila vaccini e che, per il successo dell’iniziativa, continuerà a essere aperto anche nelle prossime settimane.
Tutto nasce da una preoccupazione, quella per i più fragili, espressa dai responsabili della Comunità, nel maggio scorso, nel corso di un colloquio con il generale Francesco Figliuolo. Si è deciso che qualcosa non solo si poteva ma si doveva fare. E così, grazie all’interessamento dello stesso commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 e alla collaborazione con la Regione Lazio e la locale Asl, si è messo su in tempi record un efficiente hub nel complesso romano del San Gallicano.

Ma il centro non avrebbe mai funzionato senza la mobilitazione dei volontari, in tutto 150, una cinquantina, appunto, per ogni seduta vaccinale. Il gruppo è così diviso: una ventina tra medici e infermieri, che si dedicano alla somministrazione del vaccino, ed una trentina di persone che invece sono adibite alle funzioni amministrative. Può stupire che queste ultime siano più numerose del personale sanitario, ma il motivo è presto detto: la forza dell’Hub di Sant’Egidio sta nel fatto che ad usufruirne sono coloro che non hanno le carte in regola per vaccinarsi presso i normali centri del circuito nazionale. È necessario quindi che, prima di tutto, una nutrita équipe di volontari si dedichi a ricostruire l’identità civile e sanitaria di chi non l’aveva mai avuta o l’aveva smarrita per percorsi personali complicati, condizioni di vita precarie o, semplicemente, per le difficoltà burocratiche che una parte consistente di immigrati, alcuni dei quali presenti da anni nel nostro paese, continua ad avere.

Ciò che è avvenuto in quattro mesi è stata una preziosa opera di emersione dall’invisibilità, che ha permesso di proteggersi durante l’emergenza in corso e ha anche creato i presupposti per una cittadinanza sanitaria universale, che abbracci cioè anche chi ne era finora escluso. C’è inoltre da sottolineare che molte persone, soprattutto quelle che vivono per strada, non si sarebbero mai avvicinate al vaccino se non ci fosse stata una conoscenza e un accompagnamento, tali da poter vincere resistenze, paure e disinformazione. È una rete, quella dei volontari, che salva e riesce a ricostruire un tessuto sociale spesso lacerato, nei centri delle nostre città, dove si incontrano tanti senza fissa dimora – in Italia oltre 50 mila – come nelle periferie. E che ce la fa a raggiungere anche chi è solo, come tanti anziani, le cui condizioni di vita sono peggiorate con la pandemia, non solo per gli effetti del Covid-19 ma anche per un altro virus altrettanto nocivo, quello dell’isolamento.

È così che i 7 mila “invisibili” sono stati cercati all’inizio, uno ad uno, per spiegare che era possibile vaccinarsi, che era un grande vantaggio per la propria salute come per quella altrui. Tanto che ad un certo punto la voce di questa possibilità ha cominciato a girare da sola e tanti altri si sono aggiunti con grande soddisfazione generale.
Basta visitare l’Hub di Sant’Egidio un martedì o un giovedì (i due giorni in cui è aperto) per rendersene conto: camici bianchi e sorrisi, le lingue che si mischiano in un’atmosfera serena e familiare, un futuro che si scorge meno duro anche per chi conosce la durezza della vita. Come dice papa Francesco: “da questa pandemia ci si salva solo insieme, nessuno si salva da solo”.

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