Un evento storico. Per la Chiesa e per il mondo. E in qualche modo sorprendente. La scelta di papa Francesco di creare la Giornata mondiale dei bambini, così come avviene ormai da tempo per i giovani (una GMB invece di una GMG) è infatti davvero controcorrente. Perché capovolge le gerarchie e spiazza chi pensa che passato, presente e futuro – come è sempre stato – siano saldamente nelle mani degli adulti, un’età del vigore che per il potere si può allungare a piacimento, a seconda delle convenienze, fino a vecchiaia avanzata.
Al contrario Francesco ci viene a dire che i piccoli contano. Per tanti versi più dei grandi. Tanto che per i due giorni a loro dedicati – 25 e 26 maggio prossimi – ha scelto come titolo il passaggio dell’Apocalisse che recita Ecco io faccio nuove tutte le cose, cioè la rivelazione di un rinnovamento dell’umanità già possibile in questo mondo, pur essendo figura del Regno dei cieli.
Una così grande responsabilità in mano a dei semplici bambini? Certamente, perché – come recitava il titolo dell’udienza del Papa a settemila bambini, il 6 novembre scorso nell’Aula Nervi – Impariamo dai bambini e dalle bambine ciò che è essenziale nella vita e ciò che ci può portare fuori dalle tante crisi che minacciano il mondo. Ma per cogliere meglio l’importanza della nuova Giornata decisa dal Papa, di cui sono co-organizzatori padre Enzo Fortunato, la Comunità di Sant’Egidio e la Cooperativa Auxilium, occorre ascoltare la voce dei più piccoli, capire ciò che chiedono ai più grandi e a noi tutti. Sono bambini che rappresentano la gioia del futuro e al tempo stesso – per tanti fra loro (troppi) – anche le ferite di molti Paesi colpiti dalla violenza e dalla guerra.
Occorre starli a sentire perché – ha detto Francesco – «ci insegnano la limpidezza delle relazioni, l’accoglienza spontanea per chi è estraneo, il rispetto per tutto il Creato». E, se ascoltati, ci dicono – con una semplicità sconcertante – il desiderio di un mondo migliore, di pace e di fraternità.
Lo si è visto nelle domande che i più piccoli, originari di diversi continenti, hanno posto al Papa nell’udienza del novembre scorso e nelle risposte date da Francesco. Rania, palestinese, che gli ha chiesto, con grande preoccupazione: «Se comincerà la Terza guerra mondiale, la pace non tornerà più?». «La guerra», gli ha risposto il Papa, «purtroppo è già scoppiata, è scoppiata in tutto il mondo. Non solo in Palestina: è scoppiata nel Sud dell’Africa, nel Congo, nel Myanmar, in tutto il mondo. Noi stiamo vivendo una guerra brutta e la guerra ci toglie la pace e ci toglie la vita. La pace invece è bella».
Oppure Isidora, brasiliana, che gli ha posto il tema dell’ambiente: «Ciao, papa Francesco, pensi che noi bambini possiamo salvare la Terra?». «Sì», ha risposto il Papa, «perché voi siete semplici e capite che distruggere la Terra è distruggere noi. Diciamolo tutti insieme, lentamente, senza gridare: “Distruggere la Terra è distruggere noi”».
Al contrario Francesco ci viene a dire che i piccoli contano. Per tanti versi più dei grandi. Tanto che per i due giorni a loro dedicati – 25 e 26 maggio prossimi – ha scelto come titolo il passaggio dell’Apocalisse che recita Ecco io faccio nuove tutte le cose, cioè la rivelazione di un rinnovamento dell’umanità già possibile in questo mondo, pur essendo figura del Regno dei cieli.
Una così grande responsabilità in mano a dei semplici bambini? Certamente, perché – come recitava il titolo dell’udienza del Papa a settemila bambini, il 6 novembre scorso nell’Aula Nervi – Impariamo dai bambini e dalle bambine ciò che è essenziale nella vita e ciò che ci può portare fuori dalle tante crisi che minacciano il mondo. Ma per cogliere meglio l’importanza della nuova Giornata decisa dal Papa, di cui sono co-organizzatori padre Enzo Fortunato, la Comunità di Sant’Egidio e la Cooperativa Auxilium, occorre ascoltare la voce dei più piccoli, capire ciò che chiedono ai più grandi e a noi tutti. Sono bambini che rappresentano la gioia del futuro e al tempo stesso – per tanti fra loro (troppi) – anche le ferite di molti Paesi colpiti dalla violenza e dalla guerra.
Occorre starli a sentire perché – ha detto Francesco – «ci insegnano la limpidezza delle relazioni, l’accoglienza spontanea per chi è estraneo, il rispetto per tutto il Creato». E, se ascoltati, ci dicono – con una semplicità sconcertante – il desiderio di un mondo migliore, di pace e di fraternità.
Lo si è visto nelle domande che i più piccoli, originari di diversi continenti, hanno posto al Papa nell’udienza del novembre scorso e nelle risposte date da Francesco. Rania, palestinese, che gli ha chiesto, con grande preoccupazione: «Se comincerà la Terza guerra mondiale, la pace non tornerà più?». «La guerra», gli ha risposto il Papa, «purtroppo è già scoppiata, è scoppiata in tutto il mondo. Non solo in Palestina: è scoppiata nel Sud dell’Africa, nel Congo, nel Myanmar, in tutto il mondo. Noi stiamo vivendo una guerra brutta e la guerra ci toglie la pace e ci toglie la vita. La pace invece è bella».
Oppure Isidora, brasiliana, che gli ha posto il tema dell’ambiente: «Ciao, papa Francesco, pensi che noi bambini possiamo salvare la Terra?». «Sì», ha risposto il Papa, «perché voi siete semplici e capite che distruggere la Terra è distruggere noi. Diciamolo tutti insieme, lentamente, senza gridare: “Distruggere la Terra è distruggere noi”».
Le guerre, come quella dolorosa scoppiata nuovamente in Medio Oriente, o quella che dura ormai da quasi due anni in Ucraina, sono conflitti combattuti dai grandi ma le cui vittime sono doppiamente i bambini. Perché innocenti e perché le conseguenze – per chi sopravvive – li accompagneranno per anni. Bambini che soffrono in tante parti del mondo come quelli che vivono nel Sahel africano minacciato costantemente dal terrorismo o nel Kivu, la regione congolese che non conosce tregua alla violenza ormai da anni.
Il loro grido giungerà fino a Roma il 25 e il 26 maggio, insieme a tanto desiderio di pace e a tanta gioia nel ritrovarsi insieme. Sì, perché se c’è una capacità dei bambini – per la quale i grandi dovrebbero mettersi a scuola – è proprio quella del condividere con gli altri tempo, giochi, sogni, con una facilità e una semplicità che permette di abbattere spontaneamente diffidenze, pregiudizi e muri costruiti nella storia. Ci sarà quindi tanto da imparare nella prima Giornata mondiale dei bambini della prossima primavera per «fare nuove tutte le cose», dato che quelle vecchie non vanno bene in tante parti del mondo. Suggerendo anche agli adulti di correggere il loro rapporto con i più piccoli.
Certo, i bambini hanno anche loro bisogno di imparare a orientarsi in questo mondo. E cercano nei più grandi il loro punto di riferimento. Purtroppo, però, pensando soprattutto alle società europee, gli adulti sono spesso in difficoltà, hanno paura di educare. «La difficoltà dei genitori ad assumere una posizione di autorità rassicurante e “contenitiva” lascia i bambini e i ragazzi soli di fronte alle proprie pulsioni e all’ansia che ne deriva», scrivono in un libro dal titolo evocativo, L’epoca delle passioni tristi Miguel Benasayag e Gérard Schmit.
I genitori, infatti, spesso cercano di essere amici, perfino confidenti, ma non ascoltano in profondità i bisogni dei loro figli, impauriti come sono di fissare delle regole. Una generazione, che anni fa ha contestato i padri, si trova ora in difficoltà di fronte ai propri figli, impaurita di perdere il loro consenso, incapace di ascoltare e di orientare. È l’emergenza educativa che abbiamo di fronte e che nei giornali esplode in mille episodi di cronaca, in cui i più giovani sono protagonisti e vittime allo stesso tempo.
Che la Giornata mondiale dei bambini sia un’occasione anche per i genitori di imparare. E per tutti gli adulti di capire che il mondo può essere salvato proprio a partire da chi lo guarda dal basso. Come fanno i bambini e come fanno, insieme a loro, tanti poveri e tanti fragili.
Certo, i bambini hanno anche loro bisogno di imparare a orientarsi in questo mondo. E cercano nei più grandi il loro punto di riferimento. Purtroppo, però, pensando soprattutto alle società europee, gli adulti sono spesso in difficoltà, hanno paura di educare. «La difficoltà dei genitori ad assumere una posizione di autorità rassicurante e “contenitiva” lascia i bambini e i ragazzi soli di fronte alle proprie pulsioni e all’ansia che ne deriva», scrivono in un libro dal titolo evocativo, L’epoca delle passioni tristi Miguel Benasayag e Gérard Schmit.
I genitori, infatti, spesso cercano di essere amici, perfino confidenti, ma non ascoltano in profondità i bisogni dei loro figli, impauriti come sono di fissare delle regole. Una generazione, che anni fa ha contestato i padri, si trova ora in difficoltà di fronte ai propri figli, impaurita di perdere il loro consenso, incapace di ascoltare e di orientare. È l’emergenza educativa che abbiamo di fronte e che nei giornali esplode in mille episodi di cronaca, in cui i più giovani sono protagonisti e vittime allo stesso tempo.
Che la Giornata mondiale dei bambini sia un’occasione anche per i genitori di imparare. E per tutti gli adulti di capire che il mondo può essere salvato proprio a partire da chi lo guarda dal basso. Come fanno i bambini e come fanno, insieme a loro, tanti poveri e tanti fragili.
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