Italia: un paese di individui sempre più soli

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La pubblicazione, il 22 settembre, del Rapporto Istat sul futuro della popolazione italiana offre, in questo tempo di “presentismo” e di sospensione, tra la preoccupazione per le emergenze esterne (la pandemia, l’ambiente, la guerra) e la consueta, abitudinaria tentazione di concentrarsi sul proprio io, l’occasione di gettare uno sguardo sul domani del nostro paese e della nostra società. Di ragionare su chi e cosa saremo, su chi e cosa vogliamo essere, di riflettere – insomma – sul “noi” più largo cui apparteniamo.

Un “noi” italiano che sembra sempre più chiaramente avviato a una natalità ridotta ai minimi termini, a un progressivo invecchiamento, nonché a una prospettiva rarefatta e solitaria.
Meno popolato, più anziano e con famiglie sempre più piccole: questo il Bel Paese dei prossimi decenni, secondo le non confortanti previsioni pubblicate appunto dall’Istat nel tradizionale report annuale sulla popolazione residente.
Gli italiani saranno di meno: erano 59,2 milioni nel 2021, passeranno a 57,9 milioni nel 2030, a 54,2 milioni nel 2050, a 47,7 milioni nel 2070. Di meno e più anziani: il rapporto tra individui in età lavorativa e non si modificherà dal circa 3 a 2 del 2021 al circa 1 a 1 del 2050, con evidenti conseguenze “sul mercato del lavoro, sulla programmazione economica, sul mantenimento del livello di welfare necessario al Paese”. Di meno, più anziani e più soli: il numero medio dei componenti di una famiglia sarà sempre più piccolo, e 10,2 milioni di persone appaiono destinate a vivere da sole nel 2041 (erano 8,5 nel 2021). Tra meno di vent’anni l’Italia potrebbe essere una nazione popolata da milioni di individui soli.
Gli uomini che costituiscono un nucleo familiare a sé stante avranno un incremento del 18,4%, arrivando a superare i 4 milioni nel 2041; le donne nelle medesime condizioni aumenteranno ancora di più, da 4,9 a quasi 6 milioni, con una crescita del 22,4%. E, del resto, lieviterà anche quella che alcuni sociologi chiamano una “solitudine a due”: le coppie con figli, che oggi rappresentano circa “un terzo delle famiglie totali (32,5%), nel 2041 potrebbero equivalere meno di un quarto (24,1%)”.
Siamo di fronte a un fenomeno demografico, ma anche a un nodo culturale, antropologico. La gente è più sola. Affronta più sola l’avventura della vita. Con tutte le implicazioni politiche, economiche, sociali, che questa vera e propria rivoluzione porta con sé: “le solitudini sono un grande affare nel nostro tempo!”, ha twittato sabato scorso papa Francesco. Si va disegnando un mondo complesso, in cui convivenza e isolamento coesistono, massificazione e solitudine si danno man forte, in cui si tratterà di garantire una tenuta sociale non più cementata da nuclei familiari o da reti di appartenenza, occorrerà tessere legami di condivisione e di speranza tra soggetti più distanti e diversi che in passato.
Davvero questo è, e sembra sarà ancor di più, come ha scritto Noreena Hertz, “il secolo della solitudine”. Eppure – lo sottolinea la stessa economista, nel suo volume – la solitudine è un peso in più per chi è malato, fragile, povero. La soffre di più chi si colloca agli estremi temporali della vita, il bambino e l’adolescente, nonché l’anziano.
Eppure “la solitudine è più dannosa per la nostra salute di quanto non lo sia l’assenza di esercizio fisico: Se si è soli si ha un rischio di malattie coronariche maggiore del 29%, un rischio di ictus maggiore del 32% e un rischio di sviluppare demenza clinica maggiore del 64%. Se ci si sente soli o si è socialmente isolati si ha quasi il 30% di probabilità in più di morire prematuramente rispetto a chi non lo è”.
Possiamo fare a meno degli altri? Questa è la grande domanda da porci di fronte alla stagione che viene. E la risposta, ce lo dicono la medicina, la psicologia, la stessa esperienza esistenziale, è “No”. Il vero, grande problema è che le nostre città e paesi sono e saranno popolati da molte, troppe solitudini; che la nostra società è e sarà malata di solitudine. E che pertanto ci sarà bisogno – sempre più bisogno – di una cura, di un vaccino. Ovvero di maggiore vicinanza fisica, sociale, fraterna.

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