Sfidiamo il vento della irrazionalità

I luoghi comuni più banali si sono sempre più cementati quando la globalizzazione ci ha reso meno centrali

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Il 55° Rapporto Censis ritrae un’Italia provata dalla pandemia mentre era già sofferente per i suoi antichi mali. Il Paese sta provando a rialzarsi, e non mancano nel documento elementi che fanno sperare in un domani migliore, dai tanti esempi di resilienza sociale alla rinascita di sentimenti di solidarietà. Ma il Rapporto è anche la fotografia senza sconti del momento di disorientamento complessivo, per l’intelligente – e amara – lettura della deriva emozionale che la penisola vive.
L’analisi è per molti aspetti originale. È il tentativo di guardare nell’anima di un popolo, al di là della, come sempre acuta, indagine sociologica ed economica. Il Censis ci guida in un mondo che si ha bisogno di comprendere meglio, perché ci è vicino, ci sfiora, ci si insinua dentro.
«L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale. Per il 5,9% degli italiani il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E poi: il 5,8% è convinto che la Terra sia piatta, per il 10% l’uomo non è mai sbarcato sulla Luna». È esperienza di tanti. Di quanti hanno cercato di convincere qualcuno e si sono accorti che mancavano le basi razionali per costruire un discorso comune.
Il miracolo del vaccino, mai disponibile in tempi così brevi, derubricato a impostura o a inganno. L’individuo abdica alla razionalità, pur di tenere il punto, pur di imporre la propria visione, nutritasi di quanto filtra dai social, di quanto circola nelle bolle mediatiche ed amicali, nella supponenza di conoscere e capire più degli altri, più di ogni altro. I luoghi comuni più banali, le parole d’ordine razziste, il fastidio fatto crescere nella solitudine, si sono via via cementate in questi anni, man mano che la globalizzazione ci rendeva meno centrali e più inermi, e hanno prodotto una visione distorta delle cose e degli orizzonti.
E tutto ciò non riguarda – si badi – solo una minoranza. Sì, certo, l’irrazionalità si è fatta strada in particolare in taluni ambienti provinciali, in alcuni strati sociali, in fasce generazionali determinate. Ma la ragione ha scarsa presa più in generale, se «per il 56,5% degli italiani esiste una casta mondiale di superpotenti che controlla tutto», se per «il 39,9% c’è il pericolo reale di una sostituzione etnica».
Il peso delle difficoltà economiche in un processo di deriva come quello descritto è chiaramente individuabile: «L’irrazionale che oggi si manifesta nella nostra società non è semplicemente una distorsione legata alla pandemia, ma ha radici socio-economiche profonde» e «dipende dal fatto che siamo entrati nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali». Negli ultimi trent’anni di globalizzazione l’Italia è uno dei paesi che più ha visto diminuire le retribuzioni medie lorde annue, la massa di risparmio, le aspettative dei giovani.
Quando, con la pandemia, la realtà si è imposta con tutta la sua forza di fronte a un immaginario che si nutriva di “contro” – l’immigrazione, l’euro, l’Europa, e così via -, ecco che è crollato un castello di carte, ma non si è avuto il buon senso e l’onestà mentale di fare autocritica. E allora al sovranismo identitario o monetario è subentrato un sovranismo difensivo. Lo abbiamo visto – ad esempio – nelle scorse elezioni amministrative: è caduto il consenso alle proposte più sovraniste, ma tale consenso non si è spostato su un’offerta più razionale; piuttosto si è gonfiato il bacino dell’astensione. Allo scontento occorrerà rispondere con una buona politica, con una ripresa economica non dimentica di nessuno, ma anche e soprattutto con una grande operazione educativa, che parli forte e proponga una pedagogia della ragione in un mondo che ne ha bisogno come non mai. È la voce della ragione che bisogna alzare, quella della cultura, quella dell’arte e del bene. Tutti noi dobbiamo sfidare il vento dell’irrazionalità. Perché come ha scritto un amico giornalista a proposito di una bella mostra di artisti con disabilità, «non si esce dalle grandi crisi senza artisti e senza profeti».

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