I nostri figli, ce ne siamo accorti ormai da tempo, vivono un dramma nel dramma della pandemia. Hanno avuto poca scuola negli ultimi mesi e subiscono una pressione psicologica senza precedenti. Vari segnali mostrano un disagio crescente, come le risse in piazza, mentre si registra un allarmante aumento degli atti di autolesionismo. Tutte conseguenze dell’isolamento forzato e della maggiore difficoltà di frequentare i coetanei.
Vorrei qui soffermarmi sugli alunni di elementari e medie, di cui si parla meno rispetto ai liceali. Eppure agli Uffici scolastici regionali e al ministero dell’Istruzione giungono crescenti segnalazioni di minori che non frequentano più la scuola (primaria o secondaria di I grado) o che perdono, nelle maglie larghe della didattica a distanza, quella continuità d’insegnamento e di relazione che è la maggiore garanzia di un successo formativo.
Una battaglia che l’Italia conduce da tempo, quella contro la dispersione scolastica — che aveva visto di recente qualche timido progresso — ora rischia, a causa della pandemia, di arretrare nuovamente. Gli ultimi dati diffusi dalla Commissione Europea («Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2020») ci ricordano l’entità del problema. I minori che abbandonano precocemente l’istruzione o la formazione sono il 13,5% del totale. L’Italia purtroppo è tra gli ultimi Paesi europei in questa classifica. Parliamo di cifre relative al 2019, prima della diffusione dell’epidemia. Ma il fenomeno si allarga — come mostra un’inchiesta della Comunità di Sant’Egidio — ed è più alto ancora al Sud, nelle periferie delle grandi città e tra i ragazzi di origine straniera, rischiando di vanificare la spinta all’integrazione.
Tutto ciò riempie di preoccupazione. Parliamo di bambini e adolescenti che avrebbero diritto a qualcosa di diverso dalla scuola della strada o da una formazione incompleta, un danno secco alla crescita civile, culturale ed economica del Paese.
Siamo in presenza di un’emergenza vera e propria, da vivere come il primo dei problemi. Perché da don Milani sappiamo che «la scuola ha un problema solo, i ragazzi che perde». In Lettera a una professoressa, i ragazzi del piccolo borgo di Barbiana, erano allora molto netti nei giudizi: voi (insegnanti) dovreste lottare «per il bambino che ha più bisogno», andare «a cercarlo a casa sua se non torna»; non darvi «pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuola».
La dispersione scolastica è fenomeno complesso, dipendente da vari fattori. Non si può pensare di contrastarlo solo con l’abnegazione dei docenti, perché la scuola non riguarda solo gli insegnanti, o i genitori. La ferita dobbiamo sentirla tutti. Ciò di cui si ha bisogno è un’azione sinergica che non lasci sola la scuola, con idee, investimenti, e implementazione delle best practicesgià avviate. Per andare «a cercare a casa» i tanti Gianni che se ne sono allontanati perché non istituire una nuova figura, quella del «facilitator» scolastico, per andare — anche fisicamente — a cercare chi si è perso per strada e reinserirlo in un percorso educativo e di istruzione? Far rispettare l’obbligo scolastico non è solo una questione giuridica.
È sotto gli occhi di tutti che la didattica a distanza, soprattutto in certe situazioni marginali, non ha funzionato e forse non può funzionare. Così come non si può estendere all’infinito l’istituto dell’istruzione parentale, laddove le famiglie non sono in grado di supportare i figli. E poi occorrerà recuperare nei prossimi mesi, fino all’estate, le tante ore di studio che si sono perse lasciando aperte le scuole fino a quando servirà. Sarà il compito del nuovo governo. Il presidente del Consiglio incaricato ha già parlato, nel suo breve discorso di accettazione, di «uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni». È davvero lo spirito con cui muoversi nelle settimane e nei mesi che verranno. Il disagio psicologico e la crisi formativa di tanti bambini e adolescenti ci ricordano che la sfida non è solo economica. Parliamo tanto di un piano «Next Generation». Che la scuola, e non la strada o un cellulare, siano l’oggi e il domani di tanti bambini e ragazzi, il loro «Recovery plan».
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